«Negli anni Novanta mi piaceva noleggiare cassette VHS da Blockbuster. Ne prendevo due o tre alla volta e le restituivo in fretta per evitare le penali. Poi, un giorno, spostai una pila di fogli dal tavolo e trovai una cassetta di un film che avevo visto settimane prima dimenticando di restituirla. Quando la riportai al negozio la commessa mi disse a quanto ammontava la penale: quaranta dollari! Mi sentii molto stupido». Reed Hastings
Questo aneddoto, raccontato dal fondatore nel libro “L’unica regola è che non ci sono regole”, parla delle origini del fenomeno Netflix esploso sfruttando, tra le altre cose, i punti di debolezza della concorrenza.
Ma ciò che, secondo gli esperti, ha fatto la fortuna di questo colosso dell’home entertainment è la cultura aziendale e la grande attenzione verso le risorse umane, tanto da farne uno dei luoghi migliori di lavoro dove essere assunti.
Ma non sempre è stato così.

Dopo il lancio del 1998, agli inizi del 2001 Netflix era arrivata a quattrocentomila abbonati e centoventi dipendenti. Il business era in forte crescita quando, in primavera, scoppiò la prima bolla di Internet.
Fallirono decine di dot-con e tutti gli investimenti di capitale di rischio cessarono dall’oggi al domani. La conseguente contrazione della liquidità necessaria, costrinse Netflix a licenziare un terzo della forza lavoro.
«Insieme al manager delle risorse umane esaminammo il contributo fornito da ciascun dipendente. Non ce n’era nessuno dal rendimento palesemente scarso, così li dividemmo in due gruppi: gli ottanta dipendenti dal rendimento più alto e i quaranta meno brillanti che avremmo licenziato. Di questi:
- c’era chi svolgeva un lavoro adeguato ma non magnifico;
- chi lavorava come un pazzo ma mostrava una capacità di giudizio altalenante e aveva spesso bisogno di supporto;
- chi era straordinariamente dotato e altamente performante ma anche lagnoso o pessimista.
Il giorno dei licenziamenti arrivò e fu terribile come previsto tra chi piangeva, sbatteva la porta o urlava per la frustrazione. A mezzogiorno era tutto finito e io aspettai la seconda metà della tempesta: la reazione negativa dei dipendenti rimasti».
Il professor Will Felps, dell’Università del Nuovo Galles del Sud in Australia, ha condotto un’affascinante ricerca, dimostrando come il comportamento nell’ambiente di lavoro sia contagioso. Prendendo un campione di studenti universitari, ha creato diversi team chiedendo loro di completare un compito di management in quarantacinque minuti.
All’insaputa degli studenti, ha introdotto nei gruppi tre attori:
uno scansafatiche;
un rompiscatole;
un pessimista depresso.
La prima cosa che Felps scoprì fu che, persino quando gli altri membri del team erano eccezionalmente talentuosi, il comportamento negativo di un unico individuo riduceva l’efficacia dell’intera squadra, con risultati peggiori anche del 30-40 per cento rispetto alle altre.
L’altro risultato sorprendente fu come gli altri membri del gruppo cominciassero ad assumere le caratteristiche del soggetto negativo.
Così, il gruppo dello scansafatiche perse interesse per il progetto tanto che uno degli studenti arrivò a dire che il compito non era importante.
Nel gruppo del rompiscatole, anche gli altri membri assunsero atteggiamenti arroganti arrivando a insultarsi a vicenda.
Tuttavia, il caso più eclatante fu quello del gruppo con all’interno il pessimista. Un video ritrae il team, all’inizio, con tutti i membri seduti con la schiena dritta, pieni di energia ed elettrizzati dall’idea di svolgere il compito. Alla fine li si vede con la testa letteralmente posata sulla scrivania, accasciati.
A Netflix accadde esattamente la stessa cosa.
Dopo i licenziamenti, nonostante il dispiacere e qualche lacrima, regnava la calma. Ma, nel giro di qualche settimana, l’atmosfera migliorò drasticamente con l’ufficiò che vibrava improvvisamente di passione, energia e idee.
Le ottanta persone rimaste riuscivano a sbrigare la stessa mole di lavoro che prima si dividevano in centoventi. Lavoravano più a lungo ma l’umore era alle stelle: un insieme di persone tutte follemente innamorate del proprio lavoro.
Questo è stato il punto di svolta che ha fatto accelerare il business di Netflix e che, da allora, ha indotto il fondatore a circondarsi solo di persone di talento.
«Abbiamo scoperto che un’organizzazione ad alta densità di talento è un’organizzazione per cui tutti vogliono lavorare. I dipendenti imparano l’uno dall’altro, i team ottengono più risultati più in fretta, la motivazione cresce così come la soddisfazione individuale. Lavorare con colleghi talentuosi è elettrizzante, stimolante e divertente. E tutto ciò accade ancora oggi che abbiamo settemila dipendenti».
Fabio Columbano
Approfondiremo il caso Netflix con la dr.ssa Maria Chiara Talamo nel modulo di alta formazione “Risorse Umane” a cura di PMI Academy in partenza il prossimo 18 Marzo.
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