“Quando sei nato?”
“Il 20 Maggio 1969.”
“Era un martedì! E, il 20 Maggio 2029, festeggerai i tuoi 60 anni di domenica.”
É iniziata così la mia visita a Pizza Aut, accolto da uno dei ragazzi che ci lavora e che, tra il mio sbigottimento, snocciolava il mio giorno natale con la velocità e con l’esattezza di Google.
E mi ricordava che sto invecchiando 😀.
Un grande edificio alla periferia di Monza accoglie la seconda sede di un fenomeno di inclusione sociale che è balzato agli onori della cronaca con la potenza di un missile: un gruppo di ragazzi autistici, divisi tra sala e cucina, che accoglie ogni giorno una media di cinquecento persone.
Tutto è studiato per rendere funzionale e sicuro l’ambiente di lavoro: dai colori all’insonorizzazione, dai bicchieri alla macchina del caffè, dal layout dei tavoli, alla cucina. E, naturalmente, ai forni per le pizze.
Artefice di questo miracolo italiano, Nico Acampora, un omone barbuto dall’aspetto bonario che ha riscaldato il primo vero giorno di questo autunno bizzarro con il calore del suo racconto.

“Sono padre di un bambino autistico e quando l’ho scoperto sono svenuto. Anni difficili, di dolore e smarrimento. Ma, con il tempo, è maturata la spinta per cercare di dargli un futuro diverso dal finire in un istituto.”
Da qui nasce il sogno Pizza Aut.
All’inizio, tanta diffidenza e tanti detrattori. Oltre ai soliti leoni da tastiera, una neuropsichiatra «il solito padre frustrato che si inventa cose irrealizzabili» o il primo direttore di banca a cui mi rivolsi «il progetto è nobile ma nessuno le darà mai i soldi, Acampora.» Eppure, oggi siamo qui nella nostra seconda pizzeria. E con tanti progetti per il futuro.”
Quello che forse stupisce di più è l’organizzazione maniacale. E poi, la disinvoltura e l’entusiasmo di questi ragazzi. Alcuni, fino a qualche hanno fa, non parlavano con gli estranei o non avevano mai preso la metro.
E oggi arrivano al lavoro da soli.
“La trafila per lavorare stabilmente in Pizza Aut è lunga: si parte dalla formazione, come in una scuola alberghiera, per arrivare a un tirocinio mirato all’inserimento e a verificare le attitudini di ognuno. Non tutti ce la fanno e a me l’ingrato compito di dire ai genitori che il loro figlio non è portato per questo lavoro. Ma è necessario perché le cose funzionino”.

Tanti i riconoscimenti per Acampora e i suoi ragazzi: dalla visita del presidente Mattarella («la prima pizza che finisco in quindici anni»), all’incontro in Vaticano con Papa Francesco, al titolo di Cavaliere dell’ordine al merito della Repubblica.
“Ma la cosa che mi rende più orgoglioso è che la gente torna. E non lo fa per buonismo. Lo fa perché la nostra pizza è buona – anzi ottima, 72 ore di lievitazione – e perché vive una bella esperienza.
Ho voluto creare una SRL per dimostrare che anche con persone considerate disabili si può fare impresa. Un’impresa sostenibile che produce utili e può fare da apripista ad altre realtà.”
Durante la nostra chiacchierata, il telefono di Acampora non ha smesso un secondo di lampeggiare. Lo cercano tutti: dai giornalisti agli investitori, dai genitori di altri ragazzi autistici (anche un cinese che vuole portare Pizza Aut in Asia), alle aziende che vogliono incontrarlo.
Motivo in più per ringraziarlo del tempo dedicato.
Fabio Columbano